Sostanze stupefacenti e sicurezza: nuove indicazioni operative nella Circolare ministeriale

di Avv. Tommaso Rossi (Comitato Tecnico Scientifico Fondazione Scarponi)

La sicurezza stradale è una responsabilità collettiva, ma anche un diritto individuale. In questo spirito, la Fondazione Michele Scarponi segue con attenzione ogni evoluzione normativa che possa incidere sulla tutela di chi si muove sulle strade, in particolare delle persone più vulnerabili: pedoni e ciclisti.

Negli ultimi mesi, il dibattito sul nuovo Codice della Strada ha destato grande preoccupazione, soprattutto dopo l’eliminazione del riferimento allo “stato di alterazione psico-fisica” come elemento centrale per sanzionare chi guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti. In sostanza, si rischiava di spostare l’attenzione dal comportamento alla persona, punendo il consumo in sé, anche se avvenuto giorni prima e senza alcuna incidenza sulla capacità di guidare in sicurezza.

Una recente circolare dei Ministeri dell’Interno e della Salute, inviata l’11 aprile a tutte le prefetture e alle forze dell’ordine, sembra però rimettere in carreggiata il principio cardine che guida anche l’azione della nostra Fondazione: la sicurezza prima di tutto, basata su dati oggettivi e su comportamenti realmente pericolosi.


Il cuore della circolare: alterazione sì, consumo no

Il documento ministeriale, sebbene tecnico, smentisce di fatto l’impostazione voluta dal Ministero dei Trasporti e dal suo titolare, Matteo Salvini. L’impianto originario della riforma prevedeva sanzioni per chiunque risultasse positivo a sostanze stupefacenti, indipendentemente dal fatto che esse producessero ancora effetti durante la guida.

Ora, invece, la circolare stabilisce un principio chiaro: la sanzione può scattare solo se viene accertato che la sostanza è ancora attiva nell’organismo al momento della guida. In altre parole, non basta più essere risultati positivi a un test: è necessario dimostrare che si è alla guida in stato di alterazione.

Inoltre, l’assunzione deve essere avvenuta in un lasso di tempo “prossimo” alla guida. Questo recupera un criterio di proporzionalità e di aderenza alla realtà dei fatti, fondamentale per evitare ingiustizie.


Come funziona il nuovo protocollo operativo

La circolare delinea anche con precisione la procedura da seguire nei controlli:

  • Test salivare preliminare: viene utilizzato dalle forze dell’ordine per un primo accertamento. Se positivo, si raccolgono due campioni di saliva da inviare a un laboratorio di tossicologia forense.

  • Analisi di secondo livello: sono le uniche con valore legale e servono a individuare i metaboliti attivi, ovvero quelli che indicano che la sostanza ha ancora effetto sull’organismo. La semplice presenza di metaboliti inattivi (che segnalano un uso passato e non attivo) non può giustificare un’accusa né il ritiro della patente.

  • Esclusione dei test urinari: non sono più considerati affidabili perché non indicano uno stato di alterazione in atto.

  • Terapie mediche escluse: la circolare chiarisce che i risultati positivi dovuti a terapie prescritte – come analgesici oppioidi o psicofarmaci – non devono essere oggetto di sanzione.

Il secondo campione di saliva resta custodito per almeno un anno, a disposizione di magistratura e difesa per eventuali controanalisi.


Test e dispositivi: un panorama non uniforme

Attualmente carabinieri e polizia utilizzano strumenti diversi per i test:

  • I carabinieri impiegano i test DrugWipe 5S, simili ai test rapidi per il COVID, che rilevano il THC a una soglia di 10 nanogrammi/ml.

  • La polizia ha in dotazione dispositivi SoToxa, prodotti dalla Abbott, che funzionano come POS portatili, con soglia più alta (25 ng/ml). Questi ultimi hanno valore probatorio, ma vengono comunque confermati da analisi di laboratorio.

Queste differenze creano una certa disomogeneità nei controlli, su cui la circolare non interviene esplicitamente, ma che andranno chiarite per garantire equità e coerenza nei procedimenti.


Una questione di costituzionalità: il caso emblematico di Pordenone

La tensione tra sicurezza stradale e diritti individuali è ora all’esame della Corte costituzionale. L’8 aprile scorso, la giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, Milena Granata, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sulla riforma del Codice della Strada, in particolare sulla norma che consente di sanzionare chi ha fatto uso di sostanze stupefacenti anche in assenza di uno stato di alterazione psico-fisica.

Il caso è stato sollevato dal magistrato Enrico Pezzi, che si è trovato impossibilitato a chiedere l’archiviazione per una donna risultata positiva agli oppioidi dopo un incidente, pur in assenza di reali segnali di alterazione. La donna aveva assunto Tachidol, un antidolorifico a base di codeina per una patologia cronica, e – dopo il sinistro – tre gocce di ansiolitico EN (delorazepam). Le analisi delle urine hanno rilevato tracce di oppioidi, ma quelle del sangue sono risultate negative.

Secondo la nuova normativa, che non distingue tra i diversi tipi di test né tiene conto della finalità terapeutica, la donna sarebbe passibile di sanzione, anche se non alterata al momento della guida. Proprio questo aspetto ha spinto la giudice a chiedere alla Consulta di valutare se la norma rispetti i principi di proporzionalità e ragionevolezza sanciti dalla Costituzione.

Il magistrato Pezzi ha evidenziato come il Codice non distingua tra uso recente e uso pregresso, né tra uso a fini ricreativi e terapeutici, rischiando di colpire condotte non pericolose e non riconducibili alla tutela della sicurezza stradale.

Anche la Società Italiana di Psichiatria aveva sollevato il problema, scrivendo a gennaio al Ministero dei Trasporti per chiedere una deroga per i milioni di cittadini in cura con psicofarmaci, temendo effetti discriminatori e confusioni pericolose.

Ora spetta alla Corte Costituzionale stabilire se la richiesta della giudice Granata sia ammissibile. Se accolta, la Corte entrerà nel merito e valuterà la conformità della norma alla Carta costituzionale. I tempi della decisione non sono prevedibili, ma l’esito potrebbe incidere profondamente sull’applicazione della norma.


Conclusione: sicurezza, giustizia e proporzionalità

Per la Fondazione Michele Scarponi, ogni misura utile a contrastare i comportamenti pericolosi alla guida va sostenuta. Ma è altrettanto fondamentale che le norme non si trasformino in strumenti punitivi scollegati dal reale pericolo che un comportamento può comportare.

Punire l’alterazione, non la persona. È questa la direzione giusta, ed è importante che le forze dell’ordine siano messe in condizione di agire con strumenti affidabili, criteri oggettivi e nel pieno rispetto dei diritti. Solo così possiamo lavorare insieme per costruire una strada più sicura per tutti.

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