di Avv. Tommaso Rossi (Comitato Tecnico Scientifico Fondazione Scarponi ETS)
Le recenti modifiche al Codice della Strada italiano hanno sollevato forti perplessità e critiche da parte di tutte le associazioni che, in primis la Fondazione Michele Scarponi, tutelano le vittime della strada e gli utenti fragili, tra cui ciclisti e pedoni, ma anche le forti perplessità e critiche dei Comuni e delle Associazioni ambientaliste. Le misure recentemente approvate appaiono in contrasto con le migliori pratiche europee in tema di sicurezza, mobilità sostenibile e gestione del traffico e costituiscono un pericoloso passo indietro per la sicurezza stradale e un segnale allarmante sulla direzione che il Paese sta prendendo rispetto alla tutela dei cittadini più vulnerabili.
In pillole:
Si può dire che il paradigma è fondato sulla repressione (“i drogati” e gli “Ubriachi” al volante causano circa il 5% degli incidenti) anziché sulla prevenzione, che invece viene addirittura depotenziata per quanto riguarda le principali cause di incidentalità (alta velocità, distrazione alla
guida, mancate precedenze).
E l’altra connotazione è un pugno di ferro per i veicoli di micromobilità, che peraltro andrebbero incentivati anche per ragioni ambientali, e gli utenti più deboli (regole restrittive e meno spazi per bici, pedoni, micromobilità, disabili, bambini—-meno ciclabili, meno ZTL e isole pedonali nelle città).
regolamentata, controlli automatici più difficili sulle infrazioni), che fa da contraltare ad una ampia permissività per le auto veloci e i camion (meno controlli, meno sanzioni, meno autovelox, limiti di velocità più alti ). E inoltre meno autonomia ai Comuni e più poteri al Ministero che deciderà al posto delle città per quanto riguarda ZTL, sosta, piste ciclabili, telecamere, etc.)
Riduzione delle tutele per i ciclisti: una scelta pericolosa
Uno degli aspetti più preoccupanti di queste modifiche è la riduzione delle tutele per i ciclisti, che rappresentano una delle categorie più vulnerabili sulle strade. In Italia, i ciclisti continuano a essere vittime di incidenti mortali, spesso causati da una rete stradale che non garantisce loro sicurezza. I dati ISTAT riportano un aumento degli incidenti che coinvolgono ciclisti nelle aree urbane, spesso dovuti a comportamenti pericolosi degli automobilisti, come il mancato rispetto delle distanze di sicurezza e la scarsa attenzione nelle svolte.
Una normativa più favorevole ai ciclisti sarebbe necessaria non solo per proteggere chi sceglie la bici come mezzo di trasporto, ma anche per promuovere una mobilità sostenibile, con benefici in termini di riduzione del traffico e dell’inquinamento. Tuttavia, le recenti modifiche sembrano andare in direzione opposta, e mancano di quelle misure che potrebbero incentivare il ciclismo urbano e migliorare le condizioni di sicurezza per chi si muove sulle due ruote.
Limitazioni al potere delle amministrazioni locali: un freno alla sicurezza stradale
Le nuove normative limitano anche la possibilità per le amministrazioni locali di istituire zone con limite di 30 km/h. Questo è un aspetto particolarmente critico, poiché numerosi studi dimostrano che la riduzione della velocità è una delle strategie più efficaci per diminuire il numero e la gravità degli incidenti stradali. Le “zone 30” sono ampiamente utilizzate nelle città europee proprio per rendere le strade più sicure, in particolare per i pedoni, i ciclisti e, più in generale, per tutti gli utenti vulnerabili.
Con queste modifiche, le amministrazioni locali italiane vedono ridursi la possibilità di intervenire efficacemente per adattare i limiti di velocità alle specifiche esigenze del territorio. I comuni si trovano quindi in una posizione più debole nel garantire la sicurezza stradale nelle zone residenziali e nelle aree ad alta densità di traffico pedonale. Le associazioni denunciano che queste restrizioni limitano l’autonomia degli enti locali, impedendo loro di adottare misure preventive che potrebbero salvare vite umane.
Meno sanzioni per l’eccesso di velocità
Un altro elemento di preoccupazione è rappresentato dalle limitazioni imposte sull’adozione di sanzioni per chi supera i limiti di velocità. Le nuove norme rendono più difficile per le amministrazioni locali installare autovelox e altri strumenti di controllo della velocità, un intervento che, secondo le associazioni per la sicurezza stradale, potrebbe avere un impatto negativo sulla sicurezza. La presenza di controlli automatici di velocità ha dimostrato, in molte città europee, di avere un effetto deterrente significativo, inducendo gli automobilisti a rispettare i limiti e riducendo così il numero di incidenti.
La riduzione dei controlli e la conseguente riduzione delle sanzioni rischiano di inviare un messaggio pericoloso, normalizzando il superamento dei limiti di velocità e abbassando la percezione del rischio per gli automobilisti. Questo potrebbe tradursi in un aumento degli incidenti, specialmente nelle aree urbane, dove il rischio di investimenti e collisioni è maggiore a causa dell’alta densità di utenti della strada.
Un modello opposto alle migliori pratiche europee
Mentre molti Paesi europei stanno adottando politiche sempre più severe per ridurre la velocità dei veicoli e favorire una mobilità sostenibile, l’Italia sembra andare nella direzione opposta. Città come Parigi, Barcellona e Berlino hanno implementato limiti di 30 km/h in ampie aree urbane e promosso l’uso della bicicletta e dei mezzi pubblici, con il risultato di una significativa riduzione degli incidenti e delle vittime della strada. In questi Paesi, il miglioramento della sicurezza stradale è visto come un investimento sul benessere collettivo, ma in Italia le recenti modifiche sembrano ignorare questo approccio, mettendo in secondo piano la protezione degli utenti vulnerabili.
L’appello delle Fondazione Scarponi: tornare alla centralità della sicurezza
La Fondazione Scarponi e le altre associazioni che tutelano le vittime della strada e gli utenti fragili chiedono un ripensamento delle recenti modifiche al Codice della Strada. La sicurezza dovrebbe essere il criterio centrale di ogni scelta normativa riguardante la circolazione stradale, specialmente in un Paese come l’Italia, dove il tasso di incidentalità è tra i più alti d’Europa. La limitazione del potere delle amministrazioni locali e la riduzione delle tutele per ciclisti e pedoni sembrano rispondere più a logiche di comodità per gli automobilisti che a reali obiettivi di sicurezza.
In un contesto in cui le città sono sempre più congestionate e l’inquinamento atmosferico è una delle principali minacce alla salute pubblica, incentivare l’uso della bicicletta e garantire spazi sicuri per i pedoni dovrebbe essere una priorità. La Fondazione Scarponi chiede quindi al governo di ascoltare le loro istanze e di adottare un approccio più vicino ai modelli europei, ponendo la sicurezza stradale e la tutela degli utenti fragili al centro delle politiche per la mobilità urbana.
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Analizziamo nel dettaglio i principali punti critici oltre alla riduzione delle tutele per ciclisti e il ridimensionamento delle zone 30.
1. Divieti estesi per i monopattini elettrici
Il nuovo Codice prevede restrizioni più rigide per l’utilizzo dei monopattini elettrici, tra cui l’obbligo di casco per tutti gli utenti (indipendentemente dall’età) e il divieto di circolazione su molte strade urbane, limitando fortemente la mobilità su questi mezzi. Se da una parte la regolamentazione dei monopattini era attesa a causa del loro rapido aumento nelle città italiane, il Tutti i dati raccolti sottolineano come il monopattino elettrico rappresenti una valida alternativa all’auto, specialmente nei contesti urbani, e che regolamentarlo fino a ridurne drasticamente l’uso potrebbe scoraggiare una mobilità sostenibile a basso impatto. Molti Paesi europei stanno puntando su norme più equilibrate, come il casco obbligatorio solo per i minori di 18 anni e restrizioni minime in aree a traffico limitato, con l’obiettivo di favorire l’uso di questi mezzi senza compromettere la sicurezza.
2. Pochi incentivi per la mobilità sostenibile
Il nuovo Codice della Strada manca di un piano di incentivi per la mobilità sostenibile, che molti esperti e attivisti auspicavano come uno degli interventi più urgenti. In un momento in cui la transizione ecologica è al centro delle agende politiche internazionali, non includere incentivi concreti per l’uso di biciclette, monopattini e mezzi di trasporto pubblici sembra una grave lacuna. In altri Paesi europei, politiche attive come contributi per l’acquisto di biciclette elettriche, sconti per abbonamenti ai trasporti pubblici e investimenti in infrastrutture ciclabili hanno dimostrato di poter ridurre efficacemente il traffico e le emissioni urbane.
In Italia, l’assenza di misure di incentivazione rappresenta non solo un’occasione mancata per ridurre la congestione e migliorare la qualità dell’aria, ma anche un messaggio implicito di minor interesse verso la sostenibilità e la sicurezza degli utenti della strada.
3. Riduzione delle possibilità di utilizzare autovelox mobili e fissi
Il nuovo Codice limita ulteriormente l’uso di autovelox e altri strumenti di controllo della velocità, lasciando le amministrazioni locali con meno strumenti per contrastare l’eccesso di velocità. La limitazione nell’installazione di autovelox si traduce in una ridotta capacità di controllo da parte delle autorità locali, e questo aspetto è fortemente criticato dalle associazioni per la sicurezza stradale, che vedono in queste misure una delle cause principali di incidenti mortali.
Studi internazionali hanno dimostrato che la presenza di strumenti di controllo della velocità, come autovelox, ha un impatto diretto sulla riduzione della velocità media degli automobilisti, contribuendo a una diminuzione degli incidenti e delle lesioni gravi. Limitare l’uso di questi strumenti potrebbe quindi portare a un aumento della pericolosità sulle strade, specialmente nei tratti urbani dove il rispetto dei limiti è essenziale per garantire la sicurezza degli utenti vulnerabili.
4. Limitazioni all’uso di multe per divieto di sosta in aree urbane congestionate
Il nuovo Codice prevede maggiori restrizioni nell’uso delle multe per il divieto di sosta, con l’obiettivo dichiarato di ridurre le sanzioni per gli automobilisti. Tuttavia, questa misura rischia di avere un impatto negativo sulla gestione del traffico e sulla sicurezza stradale, in quanto la sosta in aree non consentite – ad esempio su marciapiedi, strisce pedonali e piste ciclabili – rappresenta una delle cause di maggior rischio per i pedoni e i ciclisti.
Limitare le multe per divieto di sosta è considerato un segnale negativo dalle associazioni di sicurezza stradale e dai comuni, che temono che questa scelta possa incentivare un uso scorretto degli spazi pubblici, aumentando la congestione e i rischi per gli utenti fragili. In molte città europee, il contrasto alla sosta selvaggia è visto come un pilastro della gestione del traffico urbano, ed è sostenuto da normative rigide proprio per garantire la sicurezza e una distribuzione equa degli spazi.
5. Mancanza di un piano strutturale per le infrastrutture ciclabili
Nonostante il numero crescente di persone che scelgono di spostarsi in bicicletta, il nuovo Codice della Strada non prevede un piano concreto per la creazione di infrastrutture ciclabili. Le piste ciclabili sicure e ben progettate sono essenziali per proteggere i ciclisti e incoraggiare la mobilità sostenibile. In assenza di una rete ciclabile adeguata, i ciclisti sono costretti a condividere la carreggiata con i veicoli motorizzati, esponendosi a un rischio maggiore di incidenti.
Le associazioni per la mobilità sostenibile denunciano che senza un intervento strutturale sulla rete ciclabile, l’Italia rischia di rimanere indietro rispetto agli standard europei. Paesi come i Paesi Bassi e la Danimarca investono da decenni in infrastrutture sicure per i ciclisti, e i risultati sono visibili in termini di riduzione degli incidenti e aumento dell’uso della bici come mezzo di trasporto principale.
6. Misure punitive per gli utenti vulnerabili
Il nuovo Codice introduce anche alcune misure che sembrano penalizzare gli utenti vulnerabili, come pedoni e ciclisti, introducendo nuove sanzioni per comportamenti definiti “imprudenti”, senza però definire chiaramente quali azioni siano considerate tali. Questa ambiguità lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e potrebbe colpire ingiustamente chi si sposta a piedi o in bici. Le associazioni temono che queste sanzioni possano alimentare una cultura che tende a incolpare le vittime in caso di incidente, piuttosto che concentrarsi sulla responsabilità di chi guida un veicolo motorizzato.
Ecco un confronto sintetico tra alcune delle norme del Codice della Strada prima e dopo le recenti modifiche, con particolare attenzione agli aspetti critici emersi.
Norma | Prima della modifica | Dopo la modifica |
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Tutele per i ciclisti | Previste normative specifiche per la sicurezza dei ciclisti, inclusa la distanza di sicurezza obbligatoria di 1,5 metri in fase di sorpasso. | Riduzione delle tutele per i ciclisti, inclusa la rimozione di alcune norme sulla distanza di sicurezza durante il sorpasso. |
Zone 30 km/h | Le amministrazioni locali avevano ampio potere di istituire zone 30 km/h per motivi di sicurezza stradale, specialmente nelle aree urbane residenziali. | Limitazioni per le amministrazioni locali nella possibilità di istituire nuove zone 30 km/h, con un processo di approvazione centralizzato. |
Autovelox e controllo della velocità | Le amministrazioni locali avevano maggiore libertà nell’installazione di autovelox e sistemi di rilevamento della velocità, anche mobili, in aree a rischio. | Limitazioni significative nell’uso di autovelox, con restrizioni sull’installazione sia dei dispositivi fissi che mobili, riducendo i controlli sulla velocità. |
Monopattini elettrici | Obbligo di casco solo per i minori di 18 anni e possibilità di circolazione in aree urbane con limiti inferiori a 50 km/h. | Obbligo di casco per tutti gli utenti e limitazioni alla circolazione in molte aree urbane, rendendo l’uso dei monopattini più restrittivo. |
Multe per divieto di sosta | Maggiore libertà per le amministrazioni locali di sanzionare soste in zone non consentite, come marciapiedi e piste ciclabili. | Restrizioni sulle multe per divieto di sosta, limitando le possibilità di sanzionare chi parcheggia in modo scorretto, anche in aree pericolose per utenti vulnerabili. |
Incentivi per la mobilità sostenibile | Disponibili alcuni incentivi locali per la mobilità sostenibile (bonus bici, contributi regionali, ecc.) e sussidi per trasporto pubblico. | Mancano incentivi per la mobilità sostenibile nel nuovo Codice della Strada, con ridotta promozione per l’uso di mezzi alternativi come biciclette e trasporto pubblico. |
Infrastrutture ciclabili | Previsti investimenti locali per la costruzione di piste ciclabili, pur senza un piano nazionale centralizzato. | Nessuna previsione di investimento per le infrastrutture ciclabili nel nuovo Codice, lasciando i ciclisti a condividere spazi stradali con i veicoli motorizzati. |
Sanzioni per pedoni e ciclisti | Norme meno restrittive e senza sanzioni specifiche per “comportamenti imprudenti” di pedoni e ciclisti. | Introdotte nuove sanzioni per comportamenti definiti “imprudenti” da parte di pedoni e ciclisti, con ambiguità nell’applicazione. |
Questo confronto mette in luce come molte delle modifiche apportate sembrino ridurre il livello di protezione per ciclisti, pedoni e altri utenti della strada più vulnerabili, favorendo un approccio normativo centrato principalmente sui veicoli motorizzati e limitando gli strumenti delle amministrazioni locali per garantire la sicurezza nelle aree urbane.
Per questo la Fondazione Michele Scarponi DICE NO al Nuovo Codice della Strada!